di Francesco Citino
pubblicato su OperativitàSincretiche 10 Dicembre 2015
Ne “L’assassinio di Cristo” di Reich viene descritto lo stato del Cristo come uno stato di pieno ed armonico fluire dell’energia vitale. In tale stato la Vita è integrata a Dio, in un unità che solo il nostro pensiero disarmonico (corazzato, direbbe Reich) è riuscito a separare in concetti (talvolta opposti), in astrazioni.
Molto di quanto proviene dalla cultura è il prodotto di organismi corazzati, castrati al libero fluire di questa energia vitale, presentati blocchi somatici, i quali creano disfunzioni al nostro meccanismo conoscitivo; mentre, il Cristo, nell’unità del suo complesso psichismo, realizza una conoscenza che è si mentale, ma anche emotiva ed esperienziale-corporea, in una parola integrale.
“Il significato cosmico del Cristo, che gli uomini gli hanno attribuito in forma mistica, giacque nel suo sincero modo di esprimere ciò che è vivo, nel totale coordinamento fra corpo ed emozioni, nell’immediatezza di contatto con le cose. […] È l’essere racchiuso e limitato da questa corazza dentro cose strettamente umane che è responsabile dell’incapacità dell’uomo di raggiungere l’universo, di capire la vita intorno a sé e nei neonati e di sviluppare una società secondo queste conoscenze che superano di molto la sua biologia. In questa prigione, l’uomo svilupperà sogni ed utopie sempre lontani da qualsiasi possibilità di realizzazione1.”
Reich definisce quest’ultima condizione come “peste emozionale”, condizione da cui derivano i drammi umanità, dalle guerre, ai totalitarismi, alle disuguaglianze del sistema consumistico.
Reich denuncia una civiltà i cui prodotti, anche i più “alti”, come il misticismo sono la deformazioni di una realtà non a fondo compresa.
“…il Dio-Padre è l’irraggiungibile realtà dell’AMORE FISICO mistificato e idolizzato nell’idea del Paradiso. La mistificazione consiste nell’adorare nello specchio l’immagine di una realtà irraggiungibile, tentatrice, impossibile a vivere, intoccabile e quindi dentro di se insopportabile2”
A mio avviso il discorso di Reich è di una profonda spiritualità, di una forma di monismo che molto di avvicina al “materialismo divino” di Mére.
La sua sembra una via maieutica che si discosta dai discorsi sullo spirito, dalle speculazioni mistiche e da altri tipi di catechesi, e riporta all’esperienza e alla corporeità, la realizzazione e l’unione con il divino.
C’è da chiarire che l’amore fisico di cui parla Reich è libertà sessuale non il libertinaggio; infatti ciò che emerge leggendo “l’assassinio di Cristo” di Reich è la condanna a tutte le forme distorte di sessualità, sia quelle che hanno a che fare con l’eccesso, con l’iperattività, con la sfrenatezza e sia il loro contrario, le forme di “castrazione” ed impotenza. Reich considera entrambe le forme disturbate come prodotto della peste emozionale, della dissociazione fra la pulsione (frustata) e l’emozione3.
Possono chiarire questo punto i passi illuminanti dello stesso Reich:
“mentre la Vita ama semplicemente, la vita corazzata >. Mentre la Vita agisce liberamente sia nella vita amorosa che che in ogni altro campo e lascia che le sue funzioni crescano lentamente dai primi inizi fino al culmine di un gioioso appagamento. […] La Vita non inizia con l’appagamento; si sviluppa fino all’appagamento. Comincia dall’amore per l’amore, proprio come in qualsiasi ambito di funzionamento, la Vita non scrive libri allo scopo di avere un libro > scritto; non esegue i suoi compiti per vederli riferiti subito sui giornali; […] La vita non ha idee preconcette su ciò che accade in futuro. La vita lascia che le cose seguano il loro corso naturale.”4
Lo stato descritto è quello di un uomo la cui mente, con i suoi desideri, giudizi e aspettative, non disturba i processi del vitale. In questo modo la Vita è affrancata da ogni genere di condizionamento (castrante) mentale; è scevra dalla costruzione egoica dell’immagine di sé; ed è infine libera di esperire il mondo ed il contatto con gli altri in modo armonico e naturale.
D’altro canto questo discorso non rinnega la mente, ma vuole che questa trovi come oggetto della sua riflessione cose ben più “alte” che la costruzione e il mantenimento dell’immagine di sé, o l’ingerenza nelle sfere vitali. A tal proposito è bene ricordare che alcune fra le più lucide interpretazioni della dottrina del Mayavada, vede il concetto di maya, non come l’illusorietà del mondo, ma come l’illusorietà di quella intricata rete di credenze, idee e aspettative che ci facciamo sul mondo.
Quindi questo stato psicologico, descritto da Reich con la metafora del Cristo, si presenta come uno stato in cui la coscienza è integrata in ogni centro, in modo armonico, senza che nessun centro assuma il predominio sugli altri.
La sintesi, il principio di unione di tutti i processi psichici, deve passare necessariamente per una separazione, per una autonomia di ogni centro psicologico. Ciò per un significato ben preciso, che ha a che fare con l’attuale stadio evolutivo dell’uomo: vari pensatori, yogi, esoteristi ecc.., considerano l’attuale condizione psichica dell’uomo come un incidente evolutivo5 o come un passaggio intermedio6. In questa condizione l’evolvere della mente, ultima forma assunta dalla coscienza primigenia, ha preso il sopravvento sulle altre strutture psichiche, anticipando, distorcendo7 e interpretando l’attività degli altri strumenti psichici sottostanti, quali i sensi, il vitale emotivo, il basso vitale ecc… . Ciò che ne risulta è che un sistema psichico siffatto non ha una esperienza diretta del mondo e delle relazioni, ma solo una distorsione di queste.
Le più chiare intuizioni di questa “confusione” all’interno dello psichismo, provengono dal lavoro di Sri Aurobindo e di Mère. Di seguito riporto due brani tratti dal loro più importante allievo, Satprem:
“Se continueremo a seguire il nostro metodo sperimentale fondato sul silenzio della mente, saremo portati a fare alcune scoperte che, poco per volta, ci metteranno sulla pista giusta. Vedremo innanzitutto decantarsi a poco a poco la confusione generale in cui viviamo; cominceremo allora a distinguere sempre più chiaramente i diversi piani del nostro essere, come se noi fossimo composti di un certo numero di frammenti, ognuno con la sua personalità e il suo centro ben distinto e, fatto ancora più notevole, con una personalità indipendente dal resto. Questa polifonia – anche se è azzardato chiamarla così, dato che si tratta piuttosto di una cacofonia – ci viene in genere nascosta dalla voce della mente, che copre tutto e tutto ingloba. Non c’è un solo movimento del nostro essere, a qualunque livello, non c’è emozione, desiderio o minimo trasalimento di cui la mente non si impadronisca subito, ricoprendolo di uno strato pensante: noi infatti mentalizziamo tutto.8”
Satprem usa il termine “trasparenza” per definire lo stato in cui i centri psichici sono silenziati e lasciano, in questo modo, la coscienza libera. In questo particolare stato, nel momento in cui ci si stabilizza, entriamo naturalmente in contatto con il nostro vero sé, con l’Atma, con l’aspetto animico, con ciò che Aurobindo chiama il “centro psichico”.
I testi della “tradizione” sono pieni di resoconti che descrivono tali esperienze, come ciò che U. G. chiama lo “stato naturale”, stato in cui cessa l’attività della mente, e nel pieno silenzio ogni processo cogitativo, a partire dalle singole percezioni, diventa autonomo:
“Cercavo di udire i rumori che provenivano dalla cucina, >. Insomma scoprii che tutti i miei sensi erano senza un centro coordinatore: il coordinatore non c’era più”9.
In ognuno di questi stati, che sia quello della metafora del Cristo di Reich, o che sia lo stato di trasparenza di cui parla Satprem, o le esperienze ascrivibili allo stato naturale di U. G., riscontriamo la medesima situazione: la separazione di ogni sfera psichica, che vive ed agisce secondo un principio armonico (che non va assolutamente identificato ne con la mente, ne con gli altri centri).
Tale principio di armonia interiore è dato dal nostro vero sé, dall’Atma; parafrasando Panikkar, che cita le Upanishad: esso è il soffio divino che da la vita, la coscienza, il soggetto di ogni sensazione, il vero sé dell’uomo e nell’uomo. E ancora:
“La rivelazione dell’ātman come filo che unisce tutte le cose, senza il quale esse crollerebbero, e come antaryāmin, la guida interiore di tutti gli esseri….10”
Sempre Panikkar ci ricorda che divenire coscienti del nostro sé, secondo la, Katha-Upanishad, è frutto di un atto di grazia, di una scelta da parte dell’Atma stesso; ma ricorda anche la Svetasvatara-Upanishad che dice che non si può scoprire l’Atma senza sforzo.
Prendendo per vere entrambe le posizioni possiamo dire che una pratica che porti allo stato di trasparenza, non è ciò che ci offre “la grazia” di avere la coscienza animica, ma ci porta a provare lo sforzo richiesto per ottenerla. Ogni volontà pratica (se sincera) si pone come una aspirazione, ovvero un impulso evolutivo, principale mezzo per ottenere la suddetta grazia11.
In qualche modo la pratica è importante in modo simbolico, ed è in questo modo che proponiamo la pratica “della divisione della coscienza” appartenente all’Incoerismo di Boyer. Questo modo di considerare tale tecnica non vuol dire considerarla al pari di un gioco, ma di considerarla un utile apprendimento analogico, assegnandogli così il valore conoscitivo che possiedono l’alchimia, le simulazioni mentali, e le terapie immaginative12.
Boyer sostiene l’illusorietà del mondo che percepiamo; tale illusione, è sostenuta dal nostro dialogo interiore. Per cui la tecnica da lui proposta cerca ricreare un silenzio interiore. Sintetizzando:
“Prendete innanzitutto coscienza della postura globale del corpo, dei piedi posati sul pavimento, fino ad arrivare alla sommità della testa. Contemporaneamente prendete coscienza della sensazione all’interno della vostra mano sinistra […]. Ora la vostra coscienza è dunque divisa in due. Avete nel campo della coscienza la postura e la referenza simultaneamente. Aggiungerete allora a questa doppia percezione sensoriale la presa di coscienza del respiro13”.
Ogni volta che i pensieri disturberanno questo processo attentivo, si dovrà riportare la coscienza ai tre “oggetti”: postura – referenza – respiro14.
Quando si sarà stabilizzata la capacità di tenere questa divisione della coscienza, si potranno aggiungere le percezioni di visione e ascolto, ma in modo non focalizzato: la visione deve avvenire come un “muro della visione” ossia una visione allargata, senza mettere a fuoco alcun oggetto; idem per il “flusso sonoro” che deve essere percepito senza interpretazioni, o focalizzazioni su un suono particolare. In questo modo la coscienza risulterà essere divisa in cinque componenti attentive.
L’esercizio della divisione della coscienza offre delle ancore sulle quale l’attenzione si posa, cessando di alimentare la mente e il suo dialogo interiore. Inoltre l’attenzione alla globalità corporea permette al soggetto di vivere dei fenomeni di “switch” tipici degli stati ipnotici, ossia la netta sensazione che sia avvenuto un cambiamento dello stato di coscienza. Ed è proprio in corrispondenza di una di queste alterazioni che è possibile abbandonarsi ad una stasi conoscitiva, alla contemplazione.
Ma come già detto le pratiche offrono anche un apprendimento analogico, questa in particolare ne offre tre principali:
- per prima cosa l’abitudine ad osservare le componenti percettive e gli stimoli fisici, porta a diventare un osservatore distaccato dei propri processi psichici. Quindi l’attesa del processo, con l’assenza o quanto meno il ritardo delle interpretazioni mentali, fa del corpo uno strumento conoscitivo più preciso e affidabile.
- L’attenzione al corpo ci pone di fronte a come questo interagisce con i processi interiori, specie quelli emotivi. In questo modo, riprendendo il metodo di Reich, è possibile comprendere come si formano i blocchi energetici, in base alle contratture che si presentano nelle diverse aree del corpo.
- Sia la separazione dei processi, che l’immagine globale del corpo (nell’esercizio di Boyer rappresentato dall’attenzione alla postura) possono stimolare la ricerca della collocazione psichica dei movimenti interiori (siano essi stati di rabbia, di gioia, motivazioni, reazioni, pensieri, associazioni…) aumentando la conoscenza delle nostre reazioni meccaniche, sottraendone all’inconscio le cause.
1Disciplina inaugurata con gli studi di Wilhelm Reich
2W. Reich, L’assassinio di Cristo, Sugar 1972, pag. 44
3ibidem, pag. 68
4La questione è di particolare importanza per il potenziale rivoluzionario del pensiero e dell’operato di Reich: il concetto di separazione e di divisione, da più parti considerato il modus operandi del potere (sia nella sua accezione metafisica che il quella più concreta e strategica) deve essere riportato al corpo e all’unione dei corpi. Questo è il luogo dove un potere che si dirama fino alla microfisica delle relazioni, ha operato la separazione, che si trasforma in scissione, in alienazione, in anafettività. Il problema dell’organismo corazzato, è per Reich un problema collettivo, un problema di educazione, in quanto nelle suddette relazioni si trasmette e si (dis)educa a questa forma di divisione interna.
5W. Reich, L’assassinio di Cristo, Sugar 1972, pag 47-48
6Come ad esempio Max Scheler, il quale considera la mente dell’uomo una mutazione, dal normale evolvere della sensorialità. Vedi M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo. Armando Editore 1998
7Verso un “oltre-uomo”…
8La Pnl parla di tre principali filtri che agiscono inconsciamente modificando l’esperienza del soggetto. Questi sono: generalizzazione, distorsione e cancellazione. Se a ciò si aggiungono i bias studiati dalle scienze cognitive, le fallacie della retorica, ecc.., si evince come tutta l’esperienza dell’uomo sia in qualche modo corrotta dalla limitatezza degli strumenti cogitativi.
9Satprem, Sri Aurobindo, L’avventura della coscienza, Ed. Mediterranee 2004, pag. 65-66
10U.G., L’inganno dell’illuminazione, Edizioni L’arcipelago 2003, pag. 41-42
11R. Panikkar, I Veda, Mantramañjarĩ, Bur 2008, pag 963
12Vedi “l’aspirazione” in Aurobindo e Mère.
13Il loro non è uno statuto epistemico scientifico, ma riguardano l’ambito della tecnica, ossia di operazioni con effetti pragmatici sulla realtà, ma che possono attingere a variabili (interiori, inconsce) non facenti parte di questo piano della realtà.
14R. Boyer, Risveglio e incoerismo, Firenze Libri 2007, pag 84