“Stalker”, film capolavoro del regista russo Andrej Tarkovskij, parla di un luogo misterioso, chiamato “La zona”, al cui interno vi è una stanza in grado di esaudire i più profondi desideri di chi vi entra. I due personaggi (uno scienziato ed uno scrittore), accompagnati da una guida speciale, appunto lo stalker, dopo aver attraversato i pericoli della zona, proprio sul punto di entrare nella stanza si rifiutano di farlo in quanto tormentati dai loro conflitti interiori.
“come potrei dare un nome esatto a quello che voglio? O anche come potrei sapere che in realtà non voglio quello che sto cercando? E potrei aggiungere che io davvero non voglia quello che non voglio? (…) La mia coscienza vuole la vittoria dei vegetariani nel mondo e il mio sub-conscio langue per una fetta di carne saporita.”
Tarkovskij, attraverso le parole dello scrittore mette in luce la frammentarietà dell’uomo, strattonato da valori, bisogni, desideri molto spesso in conflitto. Istanze interiori che lo bloccano al livello dell’agire e del volere. L’uomo descritto da questo film è un uomo che non sa neanche più desiderare.
Stalker – A. Tarkovskij
Ma affinché l’uomo non sia un campo di battaglia, immobilizzato in un perenne conflitto interiore, deve cercare una direzione.
Sri Aurobindo, il più importante esponente contemporaneo della filosofia Yoga, alla richiesta di un consiglio, da parte di un suo discepolo, gli rispose di scegliere ‘al sommo della sua coscienza’. L’espressione usata non è affatto casuale, ma indica la dinamica interiore da compiere, verso un piano di coscienza superiore, dove risiede una consapevolezza più vasta. Innalzare quindi la coscienza verso regioni dell’io ‘superiori’ alle singole motivazioni in conflitto fra loro.
Ma andiamo per gradi. Il vertice di questa consapevolezza è la facoltà del discernimento, nella terminologia dei Darshana la “Buddhi”, l’intelletto. Un piano di coscienza superiore al mentale (Manas), che una volta raggiunto ne assume la forma di ordinatore, di guida.
È il piano dell’Etica, il ‘posto da vivere’ secondo il suo etimo (Ethos), il luogo dove far risiedere la coscienza; un centro psichico da conquistare e da integrare nella propria struttura psichica. Esso è il centro deputato a riconoscere il principio di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma non secondo le regole di una imposizione morale accettate per conformismo più o meno acquiescente, ma secondo un principio di sintesi che racchiuda ma al contempo trascenda le tendenze particolari che scaturiscono dal resto del nostro io.
Come opera il ‘discernimento’? Semplificando un po’ i processi interiori possiamo dire che ordina – sintetizza – unifica.
Gli obiettivi e le motivazioni che scaturiscono dal discernimento provengono da un piano psichico che contempla tutto l’io, possiedono la caratteristica, a differenza degli impulsi della “natura inferiore”, di non essere parziali. Sono obiettivi globali provenienti dal piano dei valori, delle aspirazioni e della visione dell’esistenza che la persona possiede, quindi sono obiettivi che riescono ad esprimere la totalità dell’io.
Il pensiero sistemico li chiama “fini sovraordinati”, ovvero quegli obiettivi che in un sistema, (sia esso un gruppo, una organizzazione o semplicemente un io) possiedono la caratteristica di dominare, ed essere prevalenti rispetto alle altre motivazioni parziali.
Il discernimento quindi, attraversato il fine sovraordinato, assume il ruolo di ‘destino’ per l’io guidandolo verso un fine evolutivo in modo molto simile al finalismo espresso dal concetto dell’entelechia di Aristotele.
Se il discernimento, inizialmente può operare come un tiranno che in modo dialettico sceglie di dare voce all’obiettivo scelto, ordinando tutti gli altri impulsi (parziali) dell’io, in un secondo momento, attraverso l’agire nella direzione scelta, si crea una armonia delle varie volontà dell’io1.
L’azione è il principio di sintesi mediante cui si armonizzano e risolvono i vari moti interiori, che si tramutano da dispersioni di energia a risorse. Tutto fluisce verso il fine.
Roberto Assagioli padre della psicosintesi, parla della volontà transpersonale come di una forma di volontà che proviene da un piano “supercosciente”, la quale oltrepassa sia le esigenze fondamentali che le normali esigenze personali (da vedere in relazione alla piramide dei bisogni di Maslow) e che dona significato all’esistenza nella sua totalità.
Sempre secondo Assagioli collegata alla volontà transpersonale, esiste una volontà universale che ci apre alla collettività, per cui ‘giusto’ e ‘sbagliato’, non solo più stabiliti da una parte del nostro io dominata dai retaggi egoici di “io – mio”, ma da una consapevolezza che abbraccia altri io, che racchiuda in essa una intera collettività. Si va oltre i principi formalmente lineari ma sterili nei fatti come il principio categorico; ci si apre ad un ordine di consapevolezza superiore.
Infine l’ultimo dei tre momenti riguarda l’unione. L’unione delle proprie “volontà” attorno ad un fine sovraordinato è solo il primo passo verso un’unione di ordine superiore che avviene attraverso l’azione.
Mediante l’azione avviene la congiunzione di pensiero, volontà e comportamento verso il raggiungimento di un fine. Le principali parti dell’io, in questa situazione, sono attivate ed in armonia. In questa situazione l’uomo esprime (al meglio) se stesso; è in questa situazione che l’uomo è finalmente nell’essere e non nel pensiero.
Solo l’azione ci permette di essere in unità con la vita stessa, in un flusso di identità, scevro dal pensiero oppositivo tipico dell’attività mentale.
L’azione divina vibrante interiormente ed esteriormente in accordo con la sequenza tempo non è altro che il soggetto conoscente. Così conoscenza infinita e azione sono inseparabili.
Utpaladeva
1Ovviamente la nostra natura così detta ‘inferiore’ è intrisa di bisogni inalienabili. Ma oltre il determinismo a cui dobbiamo sottostare, vi è uno spazio di libertà residua, tanto più presente in piani psichici che contemplano il sé nella sua totalità.