Produce sempre stupore, osservare con quanta velocità i bambini, anche i più piccoli, imparano ad utilizzare le tecnologie multimediali. Basta la sola esposizione o l’osservazione di un adulto che ne fa uso, a renderli esperti nell’impiego di smartphone, tablet, computer, ecc… .
Non a caso si parla di nativi digitali: quelle generazioni che sono state esposte ad interazione con i media già durante l’età dello sviluppo cognitivo.
L’interazione fra sviluppo cognitivo ed esposizioni alle tecnologie multimediali, non è affatto neutra, infatti diversi studi1 stanno riscontrando alcune interferenze che l’esposizione multimediale arreca al normale sviluppo cognitivo del bambino. Ciò ha portato a coniare la definizione di “demenza digitale”.
Per demenza si intende il decadimento progressivo delle funzioni cognitive ed è una condizione patologica legata all’avanzamento dell’età. Benché la “demenza digitale” non rientri in questa categoria, i diversi studi che se ne sono occupati, hanno riscontrato delle condizioni di deficit similari, come ad esempio:
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riduzione dello span2 attenzionale (da 12 minuti a 5 secondi)
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scarsi risultati nei test di cognitivi (con campione di controllo)
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difficoltà nella capacità di riflessione, nello stabilire collegamenti, relazioni fra oggetti mentali
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regressione media dell’apprendimento
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comparsa del fenomeno “directed forgetting”, ossi dimentica più facilmente quando si sa di poter reperire le informazioni sulla rete
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ad un maggior utilizzo dei media corrisponde direttamente un maggior calo dei risultati scolastici
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limitazione degli stimoli immediati al cervello
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Ma qual è la causa di effetti così gravi? Qual è il rischio che i nativi digitali corrono avendo un’esposizione eccessiva ai media?
La risposta del neuroscienziato M. Spitzer, autore di “Demenza digitale: come la nuova tecnologia ci rende stupidi”, ha a che fare con ciò che avviene nel nostro cervello: l’uso sempre più massiccio di tecnologie digitali non permette la stessa attivazione sinaptica che si avrebbe con azioni come lo scrivere su carta, sottolineare, prendere appunti e note sulla pagina, memorizzare un tragitto, usare una cartina stradale invece che il navigatore, calcolare a mente, suonare uno strumento musicale, dipingere, modellare ecc…
Tutte queste attività constano delle attivazioni cognitive dell’orientamento spazio-motorio, le quali sono in grado di aumentare il numero di collegamenti fa i neuroni3.
Il mio punto di vista da formatore, che non esclude ne contempla ciò che avviene in quella “scatola nera” che è il cervello, per essere esposto ha bisogno di un ulteriore chiarimento, ovvero la distinzione fra apprendimento con strumenti protesici e quello con strumenti di supporto: la calcolatrice, google, i software di simulazione, il navigatore gps, diventano delle vere e proprie protesi, sostituendosi in tutto all’elaborazione della persona. Offrono un risultato pronto, senza che l’individuo abbia realmente aumentato il suo conoscere.
Mentre gli strumenti di supporto come lo stradario, l’abaco, la mappa concettuale, nonostante non offrano immediatamente l’informazione e difficilmente gestiscono complessità elevate, stimolano una elaborazione interiore, attivando alcune risorse mentali del soggetto (come il rappresentare interiormente dei tratti di realtà esterna, o dei concetti) arricchendo così la sua mente.
Stimolare la capacità di rappresentazione può rivelarsi il modo di entrare in una comprensione migliore di ciò che si studia e si incontra nella quotidianità. Ad esempio, alcuni metodi per l’insegnamento della matematica come la Vedic Math o il Metodo Analogico di Bortolato4 usano strumenti di supporto visivi il primo e materiali il secondo, in modo che le attivazioni spazio-motorie stimolino le correlate attività di rappresentazione interiore.
Anche per lo sviluppo della memoria, le menmotecniche più efficaci utilizzano l’associazione dei vari elementi da ricordare ad un percorso conosciuto, come ad esempio il tragitto da casa al lavoro, sfruttando così i processi di orientamento spaziali.
Stessa cosa per quanto riguarda il linguaggio: vi sono tecniche per insegnare e stimolare l’argomentazione, la retorica e la creatività, che impiegano supporti visivi come le ruote combinatorie o il quadrato logico delle opposizioni.
Gli “strumenti di supporto menzionati”, nonostante non godano di grande diffusione, funzionano, a differenza di quelli multimediali, come dei Mental Training, in grado di offrire elaborazione (conoscenza), memorizzazione e rappresentazione interiore dei contenuti, sfruttando i processi di attivazione spazio-motoria. Tutto ciò che non è offerto dall’utilizzo protesico della tecnologia digitale.
Vorrei fare un’ultima riflessione: la tecnologia non va demonizzata, in quanto ha reso la nostra vita più comoda e il lavoro più efficiente, inoltre benché la demenza digitale sia causata dalla sovraesposizione agli strumenti digitali, una grande responsabilità ce l’ha il nostro sistema culturale ed educativo, troppo orientato al risultato e troppo poco al processo. A scuola, nei telequiz, nei test di verifica si ha una esclusiva attenzione al risultato, alla risposta esatta, ignorando il processo mentale, il ragionamento che sta dietro. Una società basata su questo non può che implicitamente insegnare che un motore di ricerca è più utile di una mente funzionante.
Bibliografia
B. Sparrow, L. Wegner (2011), Google effect on memory: Cognitive cosequences of having information at our fingertips. Science 333: 776-778
J.Q. Anderson, L. Raine (2012), Millennials will benefit and suffer due tu their hyperconnected lives; Pew Research Centre’s Internet & American Life Project, 2/29/2012
1Vedi bibliografia
2La quantità di informazioni che può essere contemporaneamente colta e mantenuta nella memoria
3M. Spitzer, Demenza digitale: come la nuova tecnologia ci rende stupidi ed. Corbaccio 2013
4C. Bertolato, La via del Metodo Analogico, Teoria dell’apprendimento intuitivo della matematica, Erickson 2015